giovedì 2 dicembre 2010

E' DOMINIO BLAUGRANA! GUARDIOLA STRITOLA MOURINHO


Ci sono eventi che non sono solo una partita di calcio, come i più potrebbero pensare. C’è una partita in Spagna che catalizza da sempre l’attenzione di tutto il mondo, non si dice per esaltazione, ma è la semplice verità: Barcellona – Real Madrid del 29 novembre è stata guardata da tutto il globo terrestre. Si affrontavano due mondi diametralmente opposti, due modi di vivere e intendere il calcio agli antipodi, come dice il noto spot Sky si affrontavano “Catalonia o Spagna… Guardiola o Mourinho… Villa o Higuain… Messi o Ronaldo”.


Era questo il senso della partita, la supremazia che una delle due squadre deve avere su l’altra, visto che sulle altre non c’è gioco e tanto meno competizione. Il Barca veniva da un 8 a 0 sull’Almeria, il Real da un 5 a 1 contro l’Athletic Bilbao. Troppa la superiorità sulle altre forze, troppa anche la presunzione da parte dei blancos. Chissà se Ronaldo ripeterebbe più la celebre frase: “vediamo se ne fanno 8 anche a noi”, e chissà se il provocatore per eccellenza (Mourinho) ripeterà più che il Barca ne fa tanti perchè le altre squadre contro Messi e compagni sono arrendevoli.


Xavi, Pedro, due volte Villa e Jefren questi i marcatori di una partita che resterà storica non solo nel campionato spagnolo. L’umiliazione per il Real Madrid è di quelle che difficilmente si scordano, subire la “manita” in Spagna è un umiliazione atroce, non a caso dopo aver visto i giocatori del Barcellona sventolare la mano i giocatori del Real hanno perso letteralmente la testa (a esser sinceri anche un po’ prima del quinto gol). Dopo la spinta di Ronaldo a Guardiola, gli insulti di Carvalho a Messi, la spallata di Arbeloa, a palla rigorosamente lontana, sempre ai danni di Messi, abbiamo assistito anche a un calcio vergognoso di Sergio Ramos, manco a dirlo, a Leo Messi. Un calcio simile a quello di Totti a Balotelli, solo che li ci fu molto più impatto mediatico e molte più chiacchiere, nessuno in Spagna chiederà la “testa” del terzino spagnolo. Non contento Ramos, dopo aver subito l’espulsione, ha completato la sua performance, scadente in tutto e per tutto, con una manata a Puyol e una spinta a Xavi. Insomma la tecnica Mourinho di carica all’esasperazione dell’ambiente questa volta non ha funzionato… la partita d’andata è stata tutta Catalonia, Guardiola, Villa e Messi.


Cristiano Checchi

Ibrahimovic è tornato bionico


“Voi parlate io gioco”. Si può riassumere con la sua frase più famosa e più celebre la personalità di Zlatan Ibrahimovic, quasi due metri di muscoli, quasi 47 di scarpe, quasi impossibile da immaginare elegante e dinamico con la palla al piede. Possiamo partire da quella frase, pronunciata quando era all’Inter, faceva gol ogni domenica e qualcuno lo stuzzicava dicendo che in fondo non era poi tanto difficile fare gol in Italia, quanto molto più lo era farli in Europa dove invece lo svedese stentava. Oppure possiamo partire dal suo modo di esultare: le braccia aperte, la faccia quasi annoiata, l’atteggiamento di chi sembra voler dire: “Ho segnato io, e allora? Tutto normale”. Irriverente ed antipatico. Già, antipatico, ma agli avversari. Perché quando Ibrahimovic è un tuo compagno o il centravanti della tua squadra del cuore ti diventa subito simpatico, anzi di più, inizi a venerarlo, a rimanere incantato dalle sue prodezze che sembrano facili, ma lo sembrano perché è lui e il suo essere fenomeno a renderle facili. Possiamo, al limite, partire da un gol, magari da quello realizzato all’Italia con la maglia della Svezia durante l’Europeo del 2004: un colpo di tacco volante che si va ad infilare all’incrocio dei pali e che poteva essere concepito solo da un pazzo o da un fenomeno, o molto più semplicemente da Ibra. O magari dai gol di Parma del maggio 2008: l’Inter che deve vincere la partita per portarsi a casa lo scudetto e all’intervallo è sullo 0-0, Ibrahimovic siede in panchina, recuperato in extremis dopo un infortunio di due mesi, complice il quale l’Inter ha perso quasi tutto il vantaggio accumulato sulla Roma. Roberto Mancini rischia il tutto per tutto, Ibra entra, in un quarto d’ora fa due gol, Inter campione d’Italia e fine dei giochi.

Da qualsiasi punto si parta, descrivere Ibrahimovic è quanto mai semplice, ma allo stesso tempo affascinante, oggi come ieri. E’ senza ombra di dubbio il calciatore più decisivo del mondo, quando per decisivo si intende non il più forte a livello tecnico (concetto quanto mai soggettivo), ma il più determinante, quello che apre la partita con un gol dopo aver magari sonnecchiato un po’, quello che rincorre gli avversari e fa pressing sfruttando altezza e fisico. Dal 2005 ad oggi Ibrahimovic ha vinto 6 campionati su 6 (2 con la Juve, poi revocati ma non certo per colpa sua, 3 con l’Inter e uno col Barcellona). Quest’anno cerca l’en plein anche con la maglia del Milan (che guarda caso è già in testa alla classifica con 7 reti decisive dello svedese). Forse non sa adattarsi granchè bene ad una squadra che ha già un gioco collaudato (vedi il Barcellona, in cui comunque Ibra ha fatto più di 20 gol stagionali tra cui la doppietta nei quarti di finale di Coppa Campioni in casa dell’Arsenal e il gol nella sfida scudetto col Real Madrid, vinta 1-0 dai blaugrana). Di sicuro al Milan ha trovato posizione e leadership: è lui il fulcro della squadra, è lui l’uomo su cui Allegri punta per portare a casa scudetto e/o coppa. Ibrahimovic non si spaventa, abbassa la testa e fa quello per cui è, pagato: inventare gol e vittorie. Del resto è bionico non per caso. E scusate se è poco.

Marco Milan

martedì 30 novembre 2010

ROGER FEDERER: IL MAESTRO DEI MAESTRI


Roger Federer chiude il 2010 con il botto, allo stesso modo con cui l’aveva aperto: con un trionfo. Domenica è andata in scena a Londra la finale dell’ATP World Tour Finals. Il campione svizzero ha battuto nella finalissima il suo eterno rivale Nadal con il punteggio di 6-3, 3-6, 6-1. Un Federer d’altri tempi, quello visto in campo contro lo spagnolo, che è stato aggressivo sin dall’inizio non permettendo a Rafa di sfruttare la sua superiore potenza, non facendosi quasi mai incastrare nello scambio dritto contro rovescio, scontro che vede Nadal notevolmente avvantaggiato. Nell’ottavo game del primo set si consuma il primo break della partita, Roger strappa il servizio a Rafa e va a servire per il set. Servizio poi tenuto agevolmente. Nel secondo set Nadal è più aggressivo sul 2 a 1 per lui si procura due palle break, la seconda sarà quella giusta per andare 3 a 1. Con un Nadal più aggressivo Federer torna a subire lo scambio, con i piedi dentro al campo il maiorchino è micidiale. Con facilità Nadal va a vincere il secondo set (6-3). L’incantesimo sembrava finito, il Federer perfetto visto in tutta la settimana, capace di annichilire nell’ordine Ferrer, Murray, Soderling e Djokovic, sembra sciogliersi di fronte al solito Nadal. Ma questo è un Federer diverso, consapevole di quello che si deve fare per battere Nadal, consapevole della propria forza e forte di una condizione fisica al top. Nel terzo set spazza via dubbi e incertezze asfaltando lo spagnolo che sul 2 a 1 per Federer perde il servizio e di conseguenza la partita. Nadal non vincerà più un game e sulla palla dubbia sul secondo match point è proprio Nadal ad indicare che la palla è dentro: è la resa del numero uno del ranking… è trionfo Federer. Per lo svizzero è il quinto masters di fine anno vinto, raggiunti Sampras e Lendl. Pochi mesi fa sembrava un Federer di fine carriera, adesso, messo in bacheca il 66esimo titolo, abbiamo di nuovo un Federer pronto a dare battaglia per un 2011 che si preannuncia spettacolare.


Cristiano Checchi

mercoledì 24 novembre 2010

ROMA-BAYERN 25 ANNI DOPO


Non era una partita ad eliminazione diretta, anche se per la Roma poco ci mancava, non era una partita di Coppe delle Coppe quella giocata ieri sera all’Olimpico, ma le due squadre erano le stesse, le stesse di un pomeriggio di 25 anni fa. Roma Bayern Monaco ancora un volta all’Olimpico, di nuovo di fronte dopo la partita d’andata stravinta dai tedeschi. Non è però quella la partita che ogni tifoso romanista entrando all’Olimpico ricorda e che vorrebbe vendicare. Chi l’ha vissuta sa cosa ha significato, chi non c’era ne ha sentito parlare. Roma Bayern Monaco 1-2 del 1985 è una partita storica, perché anche una sconfitta fa la storia di una squadra anche in una sconfitta c’è una vittoria, la vittoria che fu della Curva Sud. La Roma doveva rimontare il due a zero subito in Germania, solo l’anno prima c’era riuscita sconfiggendo tre a zero il Duunde United nella semifinale di ritorno di Coppa Campioni, serviva un’altra impresa. In campo l’impresa non riuscì, ma sugli spalti si diede vita a qualcosa di irripetibile, di magico: “che sarà sarà, ovunque di seguirem, ovunque di sosterrem che sarà sarà” cantato a squarciagola con le lacrime agli occhi per venti lunghissimi ed emozionantissimi minuti. Fu una prova d’amore che sconvolse anche quelli del Bayern. Così parlò Lattek (allenatore) dopo la partita: “Io sono rimasto sconvolto da quello che è successo all'Olimpico. In tanti anni di carriera non avevo mai visto una squadra che sta perdendo, che è eliminata, fuori dalla coppa, sostenuta così dai propri tifosi. Semplicemente meraviglioso, vorrei poterlo avere io un pubblico così. In Germania una cosa del genere non sarebbe accaduta, mai e poi mai. Che spettacolo, quasi mi sono emozionato”. Sulle stesse righe le dichiarazioni di Lerby, uno dei giocatori del Bayern Monaco di allora. Questo è stato Roma Bayern per la storia della Roma, quel 20 marzo 1985 è indelebile nella storia del tifo romanista. La Sud non è più la stessa di quel giorno, come potrebbe esserlo senza il CUCS? Come potrebbe esserlo visto che la voglia di tifare è sempre più osteggiata da provvedimenti e tessere? Ma ieri sera, come a chiudere un cerchio con quello che fu, oltre alla prestazione della squadra si è avuta una prestazione immensa del pubblico. Al 45° la Roma è sotto due a zero tutto lascia presagire ad un altro “che sarà sarà” carico di tristezza e nostalgia ma così non è stato: prima la Sud incitando dal primo minuto del secondo tempo poi Borriello, De Rossi e Totti, che quel pomeriggio aveva nove anni, hanno ribaltato tutto. Stavolta vittoria è stata, non si è sentito il coro che rese ancora più leggendaria la Sud ma solo canti di gioia per una vittoria che resterà storica proprio come quella sconfitta.

Cristiano Checchi

martedì 16 novembre 2010

RED BULL E VETTEL: DOPPIO TRIONFO



Di solito nel mondo dei motori chi dispone del mezzo meccanico migliore e di uno dei piloti dotati di maggiore talento, non fa molta fatica a conquistare il successo finale. Era il presupposto da cui nel marzo scorso partiva il mondiale della Red Bull, casa automobilistica austriaca, nata soltanto nel 2002 dalle ceneri della vecchia Jaguar. Macchina superveloce ed affidabile, team di tutto riguardo, gestito dal “mago” Chris Horner, piloti di notevole valore: il giovane talento tedesco Sebastian Vettel, figlioccio di Michael Schumacher che già da un paio d’anni lo ha designato come suo erede, e Mark Webber, scudiero più esperto, guidatore ordinato e pulito. Il dominio è stato totale solo in qualifica, dove le Red Bull hanno conquistato 15 pole position su 19 a disposizione, 10 con Vettel e 5 con Webber. In gara, però, Vettel ha commesso qualche errore di troppo, compreso un tamponamento, o per meglio dire uno speronamento al compagno di squadra lanciato verso la vittoria in Turchia. Il mondiale sembrava compromesso per il piccolo tedesco, a tal punto che alla vigilia dell’ultima gara negli Emirati Arabi, gli occhi degli appassionati erano puntati esclusivamente su Alonso e Webber, divisi da soli otto punti in classifica. E invece, complici le strategie cervellotiche della Ferrari che hanno relegato lo spagnolo al settimo posto e con la carriola di Petrov davanti per tutta la gara o poco meno, e complice la giornata abulica di Webber, Vettel si è messo tutti dietro, ha condotto il GP da cima a fondo ed ha atteso buone nuove via auricolare. A conti fatti il gioiellino teutonico ha meritato il titolo, un titolo che lo ha portato a diventare il più giovane campione del mondo nella storia della Formula 1 con i suoi 23 anni e 4 mesi; Vettel ha vinto cinque volte, è stato forse discontinuo nel rendimento in gara, anche e soprattutto per la sua giovane età, ma è stato freddo, determinato e testardo nel momento clou della stagione. Curioso il dato che Vettel sia stato al comando della classifica iridata soltanto in una corsa. Già, l’ultima però, quella che conta di più; dettaglio non da poco, dettaglio da campione, dettaglio da vincente. La Red Bull ha coccolato per tutto il campionato il suo pupillo, ha penalizzato Webber che se avesse usufruito dell’aiuto del compagno di squadra e del team avrebbe con ogni probabilità vinto lui il mondiale e con un paio di domeniche d’anticipo. Webber si è sentito come Irvine e Barrichello qualche lustro fa alla Ferrari, chiusi dall’onnipotenza di sua maestà Michael Schumacher I da Kerpen (guarda caso lo stesso paesino dove bazzicava un minuscolo Vettel col suo kart…..), e si è accontentato di contribuire alla vittoria della scuderia nel campionato costruttori.

E il prossimo anno? Il prossimo anno la Red Bull resta la squadra da battere, così come la Ferrari (con Fernando Alonso) appare la maggiore candidata a recitare il ruolo di antagonista. Il salto di qualità maggiore si attende dalla Mercedes che potrebbe scavalcare la McLaren nelle gerarchie. Michael Schumacher è in attesa di riscatto dopo un anno di sbadigli, Nico Rosberg è in rampa di lancio dopo qualche anno di apprendistato. Difficile ipotizzare inserimenti al vertice per outsider quali Renault (nonostante il talento di Kubica) o Williams. Confermato il regolamento sui nuovi punteggi, adottato per la prima volta quest’anno, che ha contribuito a rendere il campionato ancora più avvincente.

Marco Milan

giovedì 28 ottobre 2010

LA JUVENTUS NON MOLLA VUOLE IL CAMPIONATO 'O5-'06


Il campionato 2005-06 non è ancora finito. Sono passati ormai quattro lunghissimi anni dalla conclusione sul campo. Con calciopoli quella stagione, che sul campo ha visto trionfare la Juve, difficilmente conoscerà la parole fine. È l'Inter secondo i tribunali la squadra campione d'Italia, il primo scudetto di quella che è poi diventata una serie lunga altri quattro campionati. Perché quel campionato non è ancora finito? Semplice entrambe le società rivendicano quello scudetto. La Juventus, infatti, ha appena fatto sapere, dal presidente Agnelli, che non vorrà rinunciare a quello scudetto e che c'è la ferma volontà di chiedere ufficialmente la restituzione.

Stesso identico discorso è fatto dalla parte neroazzurra, come se perdere quello scudetto di cartone volesse dire perdere quelli vinti sul campo. Moratti passando per Julio Cesar e tanti altri componenti della rosa, hanno più volte espresso quanto importante sia quello scudetto. L'Inter ha finito quel campionato al terzo posto, dietro a Milan e Juve. Se è più che giusto non prendere neanche in considerazione l'ipotesi di dare quello scudetto alla Juventus, sarebbe allo stesso modo giusto considerare l'assegnazione dello scudetto 2006 come quello del 2004-'05 ovvero non assegnandolo a nessuna delle due squadre. Dovrebbe essere anche una semplice questione di stile, come si fa a reclamare per proprio uno scudetto perché ci si considera virtuosi, senza macchia quando i tabulati telefonici hanno poi dimostrato il contrario? Quando viene dimostrato che quel virtuosismo di cui tanto ci si vantava era più che altro presunto come si fa a pretendere per se lo scudetto “morale”?

È ovvio che le telefonate uscite fuori riguardanti l'Inter non sono compromettenti come quelle riguardanti la Juventus, ma bastano però a dimostrare che il vizio delle telefonate agli arbitri era un vizietto di parecchie squadre. Allora perché si perde tempo dietro reclami e frecciate tra dirigenze? È questo sicuramente uno dei tanti aspetti brutti del nostro calcio. Un interessante servizio Mediaset, a metà tra provocazione e realtà, ha proposto l'assegnazione dello scudetto di cartone alla prima squadra classificata in quell'anno che non sia coinvolta in nessuna chiamata verso le alte cariche arbitrali. Scalando la classifica si è arrivati cosi all'assegnazione del titolo al Livorno di Spinelli, attualmente in serie B, in quanto non è emerso nessuno squillo verso i vari Bergamo, Pairetto o chi che sia. È solo provocazione che forse tale non dovrebbe restare avvicinandosi un po' di più alla realtà. Nel frattempo continueremo, stanchi e stufi, a sentire richieste per uno scudetto giocato quattro anni fa.

Cristiano Checchi

lunedì 25 ottobre 2010

IL RE FA 64!


Non è certo il trionfo più prestigioso della sua fantastica carriera, quella dell' Atp 250 di Stoccolma, ma è comunque una vittoria significativa perché permette, a quello che per tanti tifosi resta il “ re del tennis”, di aggiudicarsi il suo 64 esimo titolo. Roger Federer, battendo in finale Florian Mayer, con il parziale di 6-4/6-3, ha raggiunto Pete Sampras e Björn Borg nella speciale classifica dei più vincenti di sempre. A guidare la gloriosa classifica c'è Connors con 109 vittorie, poi Lendl con 94 e McEnore con 77.

Federer non ha vissuto di certo la sua stagione migliore, è per questo motivo che una vittoria così, importante più per il significato che per il prestigio in se, può diventare importante per affrontare al meglio il Master Finals di Londra, li però a giocarsela saranno i primi 8 del mondo. Per il momento a contendere il titolo a Federer ci saranno Nadal, Djokovic, Murray e Soderling, si attende che gli altri tre posti siano assegnati ufficialmente al sesto, settimo e ottavo del circuito.

Le vittorie, come detto, nel 2010 sono state poche. La stagione si era aperta nel miglior modo possibile con il 16 slam portato a casa, l'Australian Open, contro Murray. Il secondo successo è arrivato a Cincinnati contro Fish. Il terzo è storia recente.

A far scalpore in questo non esaltante 2010 sono le sconfitte di Sua Maestà. In Australia oltre al 16 esimo slam era arrivata anche la 23 esima semifinale consecutiva in un torneo dello Slam, un numero pazzesco, quasi sovra umano. Dopo sono arrivate le eliminazioni di Indian Wells e Miami, quella di Roma, dell'Estoril Open e quella in finale contro Nadal a Madrid. Tutto però doveva fare da preparazione per il Roland Garros. Il Torneo parigino non è andato come sperato, si è interrotto l'incredibile record delle semifinali di fila, Roger si è infatti fermato ai quarti di finale contro Soderling, alla prima vittoria su 13 incontri. Dopo la sconfitta in finale a Halle contro Hewitt è arrivata forse la sconfitta che più ha fatto male al campione di Basilea ovvero l'eliminazione da Wimbledon, casa sua, sempre ai quarti di finale contro Berdych.

La stagione sul cemento ha dato sicuramente più soddisfazioni a Federer. Oltre al già citato Autralian Open è arrivata la finale di Toronto, persa contro Murray, e la vittoria di Cincinnati . È allo Us Open, tennisticamente parlando la sua seconda casa dopo l'erba di Wilmbledon, che RF ha dato più spettacolo, esprimendo un ottimo tennis. Ha rispolverato il colpo sotto le gambe, presentato già l'anno scorso sempre a Flushing Meadows contro Djokovic in semifinale, finale poi persa contro Del Potro. È arrivato in semifinale, ancora contro Djoko, senza aver mai perso un solo set. Dopo 5 set e 3 ore e 44 minuti di gioco ad aver avuto la meglio stavolta è stato il serbo, le finali consecutive allo slam americano si sono fermante solamente, si fa per dire, a 6. Potevano essere 7 visto i due match point falliti dallo svizzero, ma così è stato. L'ultima delusione prima della vittoria di Stoccolma è arrivata in finale a Shanghai contro Murray. Finale raggiunta dopo aver dato lezioni di tennis proprio a Novak Djokovic in semifinale. È stato quindi un Federer a corrente alternata in questa ultima parte della stagione, ma con la certezza che quest'anno si è espresso a buoni livelli solo sul cemento.

È un Federer che quindi può nutrire buone speranze in vista di Londra. Allo stesso tempo sappiamo che è un Federer che va verso la fine della carriera; sappiamo tutti, a malincuore, che non sarà sempre possibile ammirare quel Federer straripante e tennisticamente stupendo. Sappiamo però che avendo 29 anni qualche gemma, forse nel 2011, riuscirà ancora a darcela, dovremmo essere noi li pronti a osservarla, studiarla e ammirarla. Ringraziandolo per quello che in questi anni ha regalato a noi amanti del tennis.

Cristiano Checchi

martedì 19 ottobre 2010

L'IGNOBILE DOMENICA TV DEL CALCIO IN CHIARIO



Nel 2010 ormai quasi tutti possiedono un abbonamento alle piattaforme satellitari (Sky, Mediaset, Dahlia-TV) che consentono la visione in diretta delle partite di serie A e i resoconti filmati con le azioni salienti al termine degli incontri. Ma ci sono ancora persone che, per svariati motivi, attendono le ore 18 della domenica per gustarsi immagini e gol della giornata di campionato. Una volta c’era 90°Minuto, un’ora scarsa di immagini con commenti moderati e le sintesi delle gare. Oggi c’è 90°Minuto, un’ora scarsa piena di chiacchiere e patetiche imitazioni di telecronache in diretta con gli inviati sui campi che urlano e si esaltano per azioni verificatesi un paio d’ore prima. Una volta nel dopocena c’era La Domenica Sportiva, un’ora e mezzo con servizi sulle partite ed approfondimenti. Oggi c’è La Domenica Sportiva, oltre due ore di chiacchiere ristagnanti, tabelle tattiche sul “magma delle squadre” (?) che risulterebbero astruse anche in aula universitaria della facoltà di Ingegneria Spaziale. E i servizi delle partite? Ben oltre la mezzanotte, neanche fossero vietati ai minori. Una volta c’era Pressing, sapientemente condotto da Raimondo Vianello, un maestro di educazione ed ironia, oltre che di televisione, che in un paio d’ore e anche meno esauriva con competenza e chiarezza tutti gli argomenti della domenica pallonara. Poi è arrivato Controcampo, programma già più urlato e con i toni della polemica sempre troppo in primo piano, ma comunque completo ed esauriente. Oggi c’è Controcampo, un’infinità di polemiche, approfondimenti solo su Inter, Juventus, Milan, Roma e qualche volta il Napoli, servizi sulle gare ridotti al minimo (in pratica vengono mostrati a malapena i gol) e relegati alla fine del talk-show, ovvero più o meno attorno all’una di notte. La comunicazione nel mondo del calcio scade sempre di più, sembra quasi che il passaggio al digitale terrestre abbia portato via con sé non solo il segnale analogico, ma anche il modo sano di fare televisione. Dalle manie di protagonismo delle emittenti satellitari a pagamento, alla pochezza dei canali in chiaro, a rimetterci sono sempre i poveri utenti che vorrebbero avere soltanto un servizio decente. Sandro Ciotti e Raimondo Vianello, ci mancate.


Marco Milan

domenica 17 ottobre 2010

LORENZO: IL PRIMO URLO DA GRANDE



Il 4 maggio del 1987 Palma di Maiorca si preparava all’inizio della stagione balneare e all’invasione di migliaia di turisti. Non sapeva, però, che quel giorno sarebbe stato ricordato da quelle parti per la nascita di un predestinato, di un futuro campione: Jorge Lorenzo, detto Por Fuera, ovvero, letteralmente dall’esterno, e che più o meno tende a significare che ti punta, si porta all’esterno e ti sorpassa senza neanche salutarti. Lorenzo ha vinto, anzi ha stravinto, il mondiale 2010 della top class di motociclismo, ha vinto 7 volte (Spagna, Francia, Inghilterra, Olanda, Catalogna, Stati Uniti e Repubblica Ceca) e soltanto in due occasioni (Aragona e Giappone) e peraltro a mondiale già quasi in tasca, è finito giù dal podio; ha conquistato 333 punti (e mancano ancora due gare al termine). Qualcuno dice che la vita gliel’hanno resa meno complicata gli avversari, Valentino Rossi infortunato nella parte chiave della stagione, Pedrosa che si è svegliato nei minuti di recupero dove peraltro è stato preso in contropiede dalla sua spalla che lo ha messo ko impedendogli di tentare la rimonta, e Stoner che ha passato più tempo a ruzzolare sulla ghiaia che ad impennare sotto la bandiera a scacchi, ma ciò è vero soltanto in parte, perché, controprove permettendo, crediamo a ragion di logica che Lorenzo, forte del suo talento, della sua fame e della sua Yamaha più simile allo Shuttle che ad una motocicletta, avrebbe trionfato ugualmente per buona pace di tutti. Non ha commesso errori lo spagnolo (mai ritirato), ha sempre attaccato anche quando aveva ormai capito di avere il titolo in saccoccia, ha mostrato e dimostrato maturità. E la Yamaha lo sa, tanto che ha risposto alle lamentele di Valentino Rossi, che mal digeriva la concorrenza casalinga di Lorenzo, con una sorta di benservito, non opponendosi al passaggio del pesarese alla Ducati. Lorenzo, già campione del mondo nella 250 nel 2007, rappresenta il futuro del motociclismo, non appare il tipo capace di accontentarsi di un trionfo e di dormire sugli allori negli anni successivi, come accaduto ad esempio ad Hayden dopo il mondiale del 2006, a Stoner dopo quello del 2007 e in Formula 1 a Raikkonen dopo la vittoria al fotofinish con la Ferrari nel 2007. Il ventitreenne di Palma di Maiorca ha ancora fame e il prossimo campionato si preannuncia spettacolare: Lorenzo con la Yamaha campione in carica, Rossi con la Ducati, Stoner e Pedrosa con la Honda, insomma, appassionati di moto non vi resta che aspettare la primavera ventura per godervi lo spettacolo.

Marco Milan

giovedì 16 settembre 2010

FORMULA 1: UNA POLTRONA PER CINQUE


Cinque piloti, cinque gare. La stagione 2010 di Formula 1 è alla stretta finale e la lotta per il titolo iridato è più accesa che mai. Il gran premio di Monza ha rilanciato le quotazioni di Fernando Alonso e di Jenson Button, rispettivamente primo e secondo al traguardo. Con cinque corse da disputare, tutte lontano dall’Europa, a contendersi l’iride sono cinque piloti: il leader del mondiale Mark Webber (Red Bull), i due della McLaren, Lewis Hamilton e Jenson Button, il ferrarista Alonso e l’altra Red Bull di quel Sebastian Vettel fenomeno nelle prove ma spesso maldestro in gara. Il grande favorito appare sicuramente Webber, il più continuo nell’arco della stagione con una gara soltanto senza punti all’attivo nel Gp d’Europa. Le difficoltà principali del pilota australiano appaiono più all’interno del suo team che all’esterno, dato che Chris Horner e C. sembrano sempre più protettivi nei confronti dell’enfant prodige Vettel che però, come già detto, dà l’idea di essere ancora acerbo, prova ne sono i tanti errori commessi nelle gare di quest’anno. Lewis Hamilton, campione del mondo 2008, uscito al primo giro a Monza, è ormai maturo per il bis iridato, anche se la sua McLaren non è un mostro di continuità quest’anno. Lo stesso discorso si può estendere per il compagno di squadra, Jenson Button, campione del mondo in carica, che però, va detto, se non fosse incappato nella follia di Vettel che lo ha speronato in Belgio due gare fa, sarebbe in testa alla classifica con tanti saluti a Webber. Discorso a parte merita infine Fernando Alonso. Lo spagnolo, così come la Ferrari, ha sonnecchiato per gran parte della stagione, ma è la mina vagante del campionato perché la Ferrari ha il potenziale per vincere le restanti gare e il pilota asturiano è indiscutibilmente il più forte della compagnia. Certo è che il risveglio appare tardivo e la Rossa sembra rassegnata a rimandare i sogni di gloria al prossimo anno, salvo miracoli stile Raikkonen 2007.
Cinque piloti, cinque gare: si parte a Singapore il 26 settembre, il rombo dei motori sale sempre più alto.

Ecco di seguito l'attuale classifica del campionato mondiale:

M. Webber 187 Red Bull Renault
L. Hamilton 182 McLaren Mercedes
F. Alonso 166 Ferrari
J. Button 165 McLaren Mercedes
S. Vettel 163 Red Bull Renault

Marco Milan

sabato 4 settembre 2010

Cassano-Bonucci e l'Italia vince... ma non convince


È arrivato il debutto delle nuova nazionale di Prandelli in una gara valida per le qualificazioni agli Europei del 2012. L’Italia ha aperto il doppio impegno, Estonia prima e Isole Far Oer poi, con una vittoria per 2 a 1 sul campo dell’Estonia. Se la nazionale ha iniziato un nuoco ciclo con un nuovo commissario tecnico così non sembra essere accaduto con le vecchie abitudini che purtroppo sono rimaste. Infatti per più di metà partita l’Italia è stata sotto per 1 a 0. Frutto della rete di Zenjov, che ha sfruttato al meglio un grave errore di presa da parte di Sirigu. Il gioco ha latitato e i due gol che sono valsi la vittoria sono arrivati entrambi da calcio d’angolo. Il primo è stato di Cassano, che torna al gol in azzurro dopo 6 anni, l’ultimo con la Bulgaria ad Euro 2004. Con un colpo di testa al centro dell’area di rigore il talento di Bari vecchia ha rimesso in carreggiata l’Italia. Italia che però pochi minuti prima era stata salvata dalla traversa. Il gol vittoria è di Bonucci, per il centrale juventino è arrivato il secondo gol in quattro partite con la maglia azzurra. Angolo di Pirlo battuto basso, “genialata” di Cassano che la rimette al centro di tacco e tap in vincente di Bonucci. Il gioco ha latitato ma almeno sono arrivati i tre punti. Ovvio che la condizione dgli azzurri manca anche a causa del periodo: il campionato è appena iniziato. Ma una prova cosi scialba è anche dovuta al solito difetto di prendere l’impegno con l’avversario, di caratura nettamente inferiore, sotto gamba. Buona la prova di Cassani, forse il terzino che avrebbe dovuto giocare anche al mondiale, meglio rispetto alle ultime apparizioni De Rossi, il quale ha timbrato la presenza numero 59 superando così Francesco Totti quale romanista più presente nella storia della nazionale maggiore. Di Cassano pesano il gol e l’assist, a fronte però di una partita non giocata a grande livello, cosi come Pazzini e Pepe. Estonia – Italia ha fatto registrare anche il debutto di Antonelli. Italia – Isole Far Oer di martedì, con il ritorno di Prandelli a Firenze, ci saprà dare qualche indicazione in più sull’Italia che sarà.

Cristiano Checchi

giovedì 26 agosto 2010

SFIDA TEDESCA PER INTER E ROMA, ANCORA IL REAL PER IL MILAN


In Champions League non era mai accaduta: Roma - Bayer Monaco è il big match del girone E della prossima Coppa Campioni. Le altre due squadre del girone dei giallorossi sono due vecchie conoscenze per gli uomini di Ranieri. La prima è il Basilea che è stata affrontata da Totti e compagni la scorsa stagione in Europa League. Mentre il Cluj sorprese la Roma all’Olimpico nel debutto della Champions 2008-2009 sconfiggendola per 2 a 1. Girone che poi fu comunque superato come capolista dalla squadra allora di Spalletti.

Il girone che vede coinvolto il Milan è quello che da solo fa la storia della Champions League. Venti coppe in ballo nel girone G dove oltre alla compagine di Allegri sono impegnati il Real Madrid di Josè Mourinho, ancora lui, l’Ajax e l’Auxerre, giustiziere dello Zenti di Spalletti. Sette le coppe del Milan, nove quelle del Real e quattro quelle dell’Ajax mai cosi tante in un solo girone.

I campioni in carica, inseriti nel gruppo A, hanno avuto un sorteggio di media difficoltà, gli avversari sono tutti nettamente inferiori ma che comunque possono creare non pochi grattacapi ai neroazzurri. Benitez & compagni hanno infatti pescato il Werder Brema, giustiziere della Sampdoria nel quarto turno preliminare, il Tottenham e i campioni d’Olanda del Twente.

Non sono impegni proibitivi per le italiane, il girone più complicato è sicuramente quello che vede impegnato il Milan. Certo la sfida al Real di Cristiano Ronaldo sarebbe più facile se Ibrahimovic diventasse davvero un giocatore del Milan. Per l’Inter si attendono i si da parte del Liverpool per Macherano e Kuijt. Ma Tottenham, Werder e Twente non spaventano di certo anche senza i due assi dei reds. Per la Roma invece sarebbe fondamentale Burdisso, che però sembra sempre più lontano da Trigoria.


Cristiano Checchi

martedì 24 agosto 2010

UNA GRANDISSIMA SAMP NON BASTA: ADDIO CHAMPIONS


Con l’onore che spetta alle più grandi squadre della storia del calcio la Sampdoria è uscita questa sera dai preliminari di Champions League. L’impresa era difficilissima ma quando mancavano 3 minuti alla fine sembra compiuta. I blucerchiati avevano annichilito i tedeschi del Werder Brema con 3 splendidi gol. È stato Rosenberg a interrompere l’incantesimo, Pizarro a trasformare una splendida notte di fine estate in un incubo. La Samp doveva rimontare il 3 a 1 subito in Germania. Era stato Pazzini con quel gol al 90 a Brema a dare un senso a questa serata. Sempre Pazzini aveva risolto la pratica nei primi 15 minuti di gioco nella sfida di stasera inventando due splendidi gol. Il secondo frutto di puro genio calcistico. Non poteva mancare la firma di Antonio Cassano, e che firma, al 85°, infatti, il talento di Bari vecchia s’inventa un gol di tacco che manda in visibilio il mondo doriano. Come detto è però arrivato Rosenberg a infrangere i sogni di gloria. La chiusura di una serate del genere non poteva essere che per il pubblico, tutti al proprio posto anche dopo il secondo gol tedesco nel primo tempo supplementare. Una lunghissima standing ovation per i giocatori autori di una partita quasi perfetta. Standing ovation ricambiata da tutti i giocatori, ultimo a mollare in campo e ultimo a uscire dal terreno di gioco è stato però il capitano Angelo Palombo. Quei minuti con gli occhi lucidi sotto le gradinate di Marassi, applaudendo chi di solito applaude, valgono più di mille parole.

Cristiano Checchi


giovedì 5 agosto 2010

FOGGIA, RITORNO AL FUTURO: CASILLO PRESIDENTE, ZEMAN ALLENATORE


FOGGIA - Si dice che il calcio abbia perso i suoi valori più romantici, abbia ammainato le sue bandiere, sia stato inghiottito dal vortice del business e dei miliardi, pardon, dei milioni. Forse è così, eppure a volte qualche storia da appassionati, da Nick Hornby e da Febbre a 90° riesce a fare capolino tra un contratto e un procuratore, tra un orecchino e una velina. Il Foggia, dovremmo dire squadra di Prima Divisione della Lega Pro ma, a proposito di romanticismo, diremo squadra di serie C1, dopo aver rischiato di non iscriversi al campionato per inadempienze finanziarie, ha trovato il suo salvatore, o per meglio dire, lo ha ritrovato: Pasquale Casillo, colui che riportò i satanelli in serie A nel 1991 e che fece vivere alla tifoseria rossonera 4 splendide stagioni nella massima serie. Ma non è tutto, perché Casillo piazza anche il colpo da maestro, la ciliegina sulla torta: richiama in panchina Zdenek Zeman, l’allenatore di quel meraviglioso, pazzo e spregiudicato Foggia dei miracoli che per due volte sfiorò la qualificazione in Coppa Uefa, e richiama come direttore sportivo Peppino Pavone, che di quel Foggia fu artefice in sede di mercato. Casillo si è detto entusiasta della conclusione positiva dell’affare e le sue prime dichiarazioni da nuovo (o vecchio, fate voi) presidente foggiano sono state: “Sono contento di questo accordo, devo ringraziare i vecchi soci perché hanno agevolato in ogni modo la chiusura della trattativa”. I tifosi del Foggia tornano a sognare, è abbastanza evidente che il primo obiettivo della società sarà quello di riportare la squadra in serie B.

Marco Milan

lunedì 12 luglio 2010

COMANDA INIESTA: LA SPAGNA E' CAMPIONE DEL MONDO




Cala il sipario su Sudafrica 2010. La Spagna è Campione del Mondo. Per la prima volta e alla prima finale giocata le furie rosse conquistano il titolo più ambito. Non era impresa facile, per gli uomini di Del Bosque, bissare il successo europeo del 2008 invece gli spagnoli sono andati oltre la cabala dimostrando di essere la squadra più forte in assoluto. La serata finale del mondiale si è aperta con la visita a sorpresa di Mandela felice e commosso per tutto quello che è stato Sudafrica 2010. Poi c’è stato Cannavaro che ha riconsegnato la Coppa del Mondo dicendogli addio con una carezza e un bacio pieno di nostalgia per quello che l’Italia viveva quattro anni fa. Il primo tempo della finalissima è andato via con poche occasioni e con tanto nervosismo, l’Olanda ha miracolosamente finito in 10 la partita. Van Bommel e De Jong dovevano essere espulsi già nei novanta minuti regolamentari, a non finire la partita è stato Heitinga: espulso per doppio giallo. Nei minuti regolamentari le grandi occasioni sono passate per i piedi di Robben e Villa che hanno avuto la palla del vantaggio soli davanti al portiere ma nulla di fatto si è andati ai supplementari. Trenta minuti intensi e tutti di targa spagnola, prima Fabregas e poi Xavi sono andati vicini al vantaggio. Ma l’ hombre del partido è Andres Iniesta, uno che segna poco ma quando lo fa sono sempre gol pesantissimi. A cinque minuti dalla fine è lui che fa esplodere tutta la Spagna in unico grido: Campeon. Poi c’è solo spazio per le lacrime. Quelle degli olandesi, distrutti al pensiero di aver perso la terza finale su tre dopo Germania 74 e Argentina 78. Lacrime di Casilias autore del miracolo decisivo su Robben, lacrime di un’intera nazione che ha finalmente visto interrompersi la maledizione del mondiale.


Cristiano Checchi

SI AMMAINA L’ENNESIMA BANDIERA: RAUL LASCIA IL REAL MADRID



Un’icona, un mito, un lord in blanco. Raul Gonzalez Blanco abbandona il Real Madrid dopo quasi 17 anni e una carriera costellata di successi, gloria, gioie e gol, tanti gol, 323 in 741 presenze per l’esattezza. Lo storico numero 7 delle merengues ha appena compiuto 33 anni e ha capito che per lui a Madrid non c’è più posto, chiuso dai giovani rampanti e coi portafogli rigonfi quali Cristiano Ronaldo, Higuain e Benzema, tanto per citare i più noti. Raul se ne va in punta di piedi, lascia la sua città, la sua squadra e il suo paese ed emigra in Germania, a Gelsenkirchen ovvero la città in cui gioca lo Schalke 04, secondo nell’ultima edizione della Bundesliga. L’accordo è vicinissimo, qualcuno dice già siglato: 5 milioni di euro in due anni. Raul aveva offerte anche dagli Stati Uniti, pronti a rimpinguare il suo conto in banca con cascate di dollari, ma lo spagnolo ha scelto di restare in Europa e in una squadra che disputi le Coppe, per un motivo ben preciso: attaccare il record di gol nelle competizioni continentali che ancora appartiene a Gerd Muller, primatista con 69 reti. Raul è fermo a 66 e la chance di giocare da titolare nello Schalke e tentare l’impresa di superare il bomber tedesco è stata la molla che gli ha fatto accettare la proposta del club della Ruhr. A 33 anni, insomma, la voglia è la stessa del ragazzino che non ancora diciottene fu capace di debuttare nella Liga con la maglia del Real Madrid realizzando 9 gol in 28 partite. Predestinato allora, monumento oggi.

Marco Milan

venerdì 25 giugno 2010

VERGOGNA ITALIA: SIAMO FUORI

Come fuori da un incubo, cosi ci risvegliamo la mattina dopo Slovacchia – Italia, con la consapevolezza che l’impensabile è accaduto. Dopo il debutto non brillante con il Paraguay ci si era detti che l’avversaria più difficile era passata che adesso con Nuova Zelanda e Slovacchia sarebbero stati 6 punti. Così non è stato. Con la Nuova Zelanda si è partiti ancora sotto con l’incapacità, a volte anche sfortuna, di andare a completare la rimonta. Fermati dagli All White, gli All Blacks fanno un altro sport; noi campioni del Mondo di calcio fermati da una nazionale in cui il pallone ha storicamente un’altra forma. Non restava che vincere ieri per andare a prendere l’Olanda e poi sperare che l’Italia contro i forti tornasse quella di Germania 2006. Appunto 2006, quattro anni sono tanti e si sono fatti sentire sulle gambe di tutti quelli che riportarono la coppa del Mondo in Italia. Buffon, Cannavaro, Zambrotta, De Rossi, Pirlo, Gattuso, Camoranesi, Iaquinta, Gilardino e Lippi. Chi per un motivo chi per un altro non hanno rivissuto i fasti della notte di Berlino. Con la Slovacchia di Hamsik neanche a dirlo partiamo sotto, è De Rossi, uno dei pochi che si era salvato nelle altre due partite, a commettere l’errore che consente a Vittek di trafiggere Marchetti con un diagonale non irresistibile.

Ci si attende la reazione ma come in preda a qualche fobia particolare gli 11 in campo latitano, nel primo tempo è una delle Italia più brutte della storia. Nelle ripresa fuori Gattuso (non si sa bene il motivo per cui abbia giocato vista la totale assenza di condizione) e Criscito dentro Quagliarella e Maggio. Poco dopo entrerà anche Pirlo al posto di uno spento Montolivo. Per lo meno la squadra è più viva. Arriva un salvataggio dubbio sulla linea sul destro di Quagliarella. Ma poi come una doccia gelata arriva il due a zero ancora di Vittek. Dagli sviluppi di un corner è Chiellini, il miglior difensore azzurro, a farsi trovare impreparato. È finita. C’è tempo solo per un finale thriller.

Di Natale, dopo aver sciupato una clamorosa palla gol quando si era ancora sullo svantaggio di una rete a zero, stavolta segna grazie ad una bellissima azione di Quagliarella che consente al compagno, dopo la respinta del portiere, di depositare la palla in rete a porta vuota. Passano pochi minuti e il miracolo azzurro sembra compiersi: da sinistra spunto di Di Natale palla al centro e gol di Quagliarella. La gioia dura poco il guardalinee ha tirato su la bandierina: Fabio è di pochissimo avanti. Un barlume di speranza si riaccende ma ci pensa la goffa difesa italiana a spengere definitivamente la luce. Da una rimessa laterale, ingenuamente regalata agli avversari , nasce il terzo fantozziano gol della Slovacchia, con Marchetti in colpevolissimo ritardo superato da un lob di Kopunek, entrato da pochissimi secondi in campo. L’Italia di chi però questo mondiale l’aspettava da quattro anni, e se lo sta vedendo scivolare via dalle mani, non vuole mollare. Uno di questi è Quagliarella che inventa un euro gol: pallonetto da fuori area sotto gli incroci: è 3-2 c’è solo il recupero per sperare. L’occasione per l’immeritata qualificazione arriva sul destro di Pepe che dopo la torre di De Rossi aveva sul piede la palla buona. Il neo juventino va sul pallone con un improbabile esterno invece che un comodo piattone, la palla è fuori era l’occasione della vita. Finisce 3-2 Slovacchia: l’incubo si è materializzato. Adesso c’è solo il tempo per lacrime di Quaglierella, per il rammarico e per i processi.

I perché di questo fallimento sono sotto gli occhi di tutti. L’Italia produce pochi (quasi nessuno) talenti, i pochi che abbiamo per beghe personali non vengono convocati. La persoalità del Ct, importantissima e fondamentale, questa volta è andata anche oltre. Ci si è nascosti troppo comodamente dietro la presunzione di essere campioni del Mondo. Mai una possibilità a chi forse ne aveva di più, a cosa sono serviti gli allenamenti? Che Quaglierella aveva più birra in corpo dei vari Iaquinta e Gilardino non si vedeva? Cassano sarebbe stato davvero cosi inutile? Tutte domande che ormai servono a poco. Lippi si è preso tutte le colpe (e ci mancherebbe altro) adesso si è pronti per il ciclo Prandelli con la speranza che l’Italia torni presto ai livelli di soli quattro anni fa.

Cristiano Checchi

martedì 15 giugno 2010

STECCHIAMO IL DEBUTTO: 1 A 1 CON IL PARAGUAY


È finalmente arrivato il debutto dell’Italia a Sudafrica 2010. Gli azzurri non sono andati oltre al pareggio contro il Paraguay. Gli uomini di Lippi hanno sempre controllato il gioco non riuscendo però quasi mai a mettere in difficoltà il portiere avversario. Nessuna grande novità negli 11 iniziali. Buffon tra i pali, da sinistra a destra Criscito, Chiellini, Cannavaro e Zamrbotta. A centrocampo De Rossi e Montolivo vertici bassi, Pepe a destra, Iaquinta a sinistra con Marchisio dietro l’unica punta Gilardino.

Erano ben 5 i debuttati nel mondiale, sono diventati sette con gl’ingressi dei Marchetti nell’intervallo e di Di Natale nel corso del secondo tempo. Esordienti tutti promossoi tranne il solo Marchisio apparso svagato e fuori ruolo. Di Natale negli ultimi minuti ha mostrato tanta voglia ma poca concretezza, inoperoso per tutto il secondo tempo Marchetti, cosi come lo era stato Buffon.

Primo tempo con poche emozioni, quando ormai il primo tempo sembra chiudersi sullo 0 a 0 Alcaraz in mezzo a De Rossi e Cannavaro colpisce di testa a fa 1 a 0. L’errore dei due campioni del Mondo è banale, lo svantaggio è immeritato ma cosi è, si va all’intervallo con la consapevolezza che non si può assolutamente perdere. La serata però sembra essere maledetta al rientro in campo non c’è più Buffon, è il turno di Marchetti. Poco dopo fuori anche l’inutile Marchisio, dentro un Camoranesi lontano parente di quello di Germania 2006, capace solo di farsi ammonire per un brutto fallo e di rischiare con un altro intervento pericoloso addirittura il rosso. Al 15° minuto però uno dei responsabili del gol avversario si getta in spaccata sull’angolo di Pepe e complice l’uscita fantozziana del portiere fa uno a uno: è il primo gol per Daniele De Rossi in un mondiale. Lui l’anello di contatto tra i giovani e i vecchi di Germania 2006, lui che ha caricato l’amico Pepe per un debutto che fino a 2 anni fa nessuno avrebbe potuto immaginare, è lui che rida ossigeno alla squadra. L’Italia torna a crederci, si può vincere basterebbe poco, ma non c’è mai l’ultimo passaggio per la punta, non arriva mai la nitida occasione da gol. Neanche l’ingresso dell’ultimo debuttante mondiale, mister 29 gol in campionato, al posto di Gilardino da la spinta che serve all’Italia. È uno a uno, ne carne ne pesce, si cerca di guardare il bicchiere mezzo pieno: passare il turno non è certo impresa proibitiva, Nuova Zelanda e Slovacchia non possono e non devono mettere paura all’Italia. E’ l’eventuale ottavo di finale che deve preoccupare.

Domenica contro la Nuova Zelanda ci si gioca tutto, qualcosa negli undici iniziali andrà cambiato, Marchisio non va verso la conferma, cosi come Giardino, nemmeno un tiro in porta per l’attaccante viola. Iaquinta è palesemente fuori ruolo relegato sulla fascia prima a sinistra poi a destra. Sappiamo della generosità del giocatore ma cosi sembra essere troppo anche per lui. Anche il modulo non sembra dei più giusti per la nazionale, il modulo della Roma spallettiana non si amalgama con le qualità della rosa portata da Lippi. C’è una settimana per riflettere, una settimana per lavorare perché contro la Nuova Zelanda è accettato un solo risultato.

Cristiano Checchi

martedì 18 maggio 2010

TUTTO COME DA COPIONE: L'INTER ANCORA CAMPIONE ALLA ROMA TUTTI GLI ONORI


No, non è successo, il miracolo atteso in casa Roma non è avvenuto: l’Inter si è riconfermata Campione d’Italia. Non solo complimenti ai campioni però, ci si soffermerà invece sui secondi, su quelli che hanno tenuto vivo un campionato su quelli che l’hanno onorato fino alla fine, sudandosi ogni punto degli 80 guadagnati. La Roma non ha vinto il campionato, e precisamente l’ha perso nella infausta notte dell’Olimpico dove la Sampdoria ha vinto per due a uno. Li si sono praticamente infranti i sogni di gloria, li però la Roma ha scoperto quanto può essere unico e fantastico il suo pubblico che nel momento più duro, più straziante della stagione si è stretto intorno alla squadra: in più di 6 mila a Parma, il pienone nell’ultima casalinga con il Cagliari e in 20 mila a Verona. Negli occhi di Totti e compagni domenica pomeriggio si percepiva la consapevolezza di essere seguiti da un pubblico particolare, speciale, da un pubblico che dopo il gol di Milito cantava a squarciagola l’inno della Roma, da un pubblico che era ancora una volta, come nel 2008, ad accogliere la squadra a Fiumicino. Il Siena non è riuscito nell’impresa, ha però giocato la partita a differenza di altre squadre, e per questo si è meritato le vergognose accuse e offese dell’Onorevole Ignazio La Russa. Non poche settimane fa abbiamo assistito a uno scempio calcistico, ad una farsa, quello visto tra Lazio e Inter non merita neanche di essere chiamato incontro calcistico, in quel caso si parlava “di cosa normale”, era per non far vincere la Roma si diceva. L’Italia è un mondo che va al contrario.

La Roma e i suoi tifosi hanno mostrato un certo stile anche nella sconfitta, nella vittoria l’Inter non ha fatto la stessa cosa. Alla fine conta sempre chi vince è questa la regola brutale del pallone, ma conta anche come si vince e soprattutto se si sa vincere. L’Inter ha mostrato l’assenza totale di questa capacità, ha sicuramente perso (forse dovuta dalla grandissima distanza temporale) lo stille di quell’Inter che vinceva tutto, forse come questa, ma che tutti unanimemente riconoscevano essere la “grande Inter” e che tutti ancora adesso ricordano con affetto. La differenza con questa Inter è macroscopica, grande questa lo è sicuramente come effettivi in campo, ma non lo è nello stile. L’allenatore neroazzurro ha trasmesso questo senso di accerchiamento, di solitudine, da un certo punto della stagione quella dell’Inter è diventata una crociata contro i poteri forti che volevano privare l’Inter del quinto (quinto solo perché vanno fieri di quello di cartone) scudetto consecutivo. Questo ha creato un clima di esasperazione sempre maggiore che è sfociato con le assurde dichiarazioni di Zanetti (capitano anche di quell’Inter frustrata dallo scontro contro la Juventus, che vinceva, senza dubbio con molte ombre, ma con uno stile nel post vittoria lontano anni luce da quello interista) che parla di una vittoria “da soli contro tutti”. Moratti, al quale le troppe vittorie hanno forse fatto perdere lucidità, sfoggia di nuovo il gesto delle manette, come ad idolatrare Mourinho. Come se non bastasse ha poi rincarato la dose aggiungendo che è nella storia dell’Inter vincere contro tutti e tutto. Nel calcio si dice che la memoria del tifoso è corta, Moratti ha dimostrato che anche quella del Presidente può essere cosi. Sembra passata una vita ma quel 2008 in cui l’Inter tutto era tranne che osteggiata dalla classe arbitrale non è cosi lontano, Moratti questo dovrebbe ricordarlo.

È cosi che ci si è ritrovati a far combaciare le feste: l’Inter accolta trionfalmente a Milano, la Roma accolta da 1200 tifosi a Fiumicino. L’accoglienza riservata alla Roma è quella che nel mondo del calcio, dove la sconfitta non è contemplata, suona strana: cosi non è nella capitale sponda giallorossa. Accogliere i giocatori dopo aver dato tutto, dopo aver regalato la possibilità di vivere un sogno qualcosa d’inaspettato che solo grazie al lavoro e all’abnegazione costante poteva diventare realtà è qualcosa che rientra nella concezione del tifoso romanista, fa niente se il sogno alla fine non si è realizzato la squadra va comunque ringraziata e onorata. A Roma tutto questo e a Milano? A Milano la giusta festa per i campioni va avanti tra normalissime scende di giubilo e di gioia, li però le offese e gli atti provocatori nei confronti degli eterni rivali non finiscono nemmeno nel momento dei festeggiamenti. Coloro che si erano tanto offesi per lo striscione di Ambrosini che recitava “Interista lo scudetto mettitelo nel ….” durante la festa per la coppa campioni appena vinta, mentre l’Inter aveva da pochissimo festeggiato il suo primo scudetto vinto sul campo, hanno fatto lo stesso. Lo striscione che recitava un offesa personale verso Francesco Totti è stato attaccato da alcuni giocatori al pullman dell’Inter. Lo striscione prendeva di mira il modo di esultare del capitano della Roma “Totti invece che il pollice in bocca mettiti il medio nel …”. Questo è lo stile Inter. Moratti il giorno dopo ha cosi commentato l’accaduto: “Mi dispiace moltissimo, in un clima di festa può scappare una cosa del genere”. Nel 2007 però il clima di festa non era tollerato ed era indignato per quello di Ambrosini: è la solita memoria corta che attanaglia tifosi e Presidente. Questo è quello che è accaduto domenica notte, onore all’Inter campione anche se non sa essere campione sotto tutti i punti di vista e onore alla Roma che non vince il campionato ma che su quel pullman ha dimostrato che si può vincere qualcosa anche nella sconfitta.

Cristiano Checchi

martedì 11 maggio 2010

CHELSEA CAMPIONE D'INGHILTERRA: E' TRIONFO ANCELOTTI


Re Carlo ha conquistato Londra, sponda Chelsea. Quando arrivi ad essere acclamato da un intero stadio, tu italiano doc vuol dire che qualcosa di importante l’hai fatto e anche molto bene. È questo quello che è accaduto a Carlo Ancelotti. Grazia all'8 a 0 sul malcapitato Wigan il tecnico emiliano ha vinto al suo primo tentativo il campionato inglese, eguagliando, grazie alla super coppa inglese vinta ad inizio campionato, l’ombra fastidiosa del predecessore, quel Josè Mourinho che a Londra ormai hanno dimenticato. Con un campionato dominato dall’inizio alla fine Re Carlo porta a casa il suo secondo scudetto in carriera, il primo fu con il Milan nel 2004. I punti conquistati sono stati 86 frutto di 27 vittorie, 5 pareggi e 6 sconfitte. Questo l’ottimo bottino del Chelsea campione che dopo tre anni ha cosi spezzato il dominio del Manchester United che ha comunque chiuso con ben 85 punti. Per i blues è il quarto titolo della storia dopo quelli del 1955, del 2005 e del 2006. Per sir Carlo anche la possibilità di vincere la FA Cup nella finale contro il Portsmouth ultima in campionato. Riuscendo a conquistare il terzo titolo stagionale Ancelotti supererebbe l’operato dello specialone che al primo anno di Chelsea si era limitato a mettere in bacheca la super coppa e il campionato. Dall’Italia sono arrivati i complimenti ed è vivo l’orgoglio di avere Ancelotti sul tetto d’Inghilterra. Anche i giornalisti di sua maestà hanno parlato dello stile e della signorilità di Ancelotti, sottolineando che al Chelsea è stata ridata un immagine più simpatica, sfatando quel falso mito che chi vince deve essere per forza antipatico.

Cristiano Checchi

lunedì 3 maggio 2010

LAZIO-INTER LA PARTITA NON PARTITA... E IL MONDO CI GIUDICA



fonte immagine: http://temporeale.libero.it

Quando il tifo va ben oltre. Stavolta non si parla di tifo violento, di tifo che in realtà tifo non è, si parla dello spettacolo, anzi del non spettacolo, offerto domenica sera allo stadio Olimpico di Roma. Merito della Lazio che praticamente non ha giocato la partita. La paura di consegnare lo scudetto in mano agli odiati cugini giallorossi era veramente tanta. È cosi che abbiamo assistito, neanche tanto stupiti, a uno stadio che remava tutto dalla parte della squadra ospite, fischi a Fernando Muslera reo di aver parato troppo, fischi a Zarate per aver provato a puntare troppo verso l’area dell’Inter. Applausi ed esultanze come se ad aver segnato fosse stata la propria squadra è invece quello che è accaduto ai gol di Walter Samuel, strano il destino proprio una colonna dell’ultimo scudetto romanista, e di Thiago Motta. Un ambiente cosi particolare, se vogliamo usare questo termine soft, non ha fatto fare una bella figura al calcio italiano. Ovviamente anche all’estero si è parlato e si è commentato, non di certo positivamente, la partita che è stata più vicina ad una farsa che altro. La Roma sabato aveva fatto il proprio dovere contro un Parma mai domo che pur non avendo assolutamente nulla da chiedere al campionato, la Lazio ad esempio non è ancora matematicamente salva, ha dato tutto mettendo in campo anche un agonismo fuori dal lecito, vedi la giusta espulsione di Jimenez. La Roma ovviamente deve rimpiangere e rimuginare per la partita con la Sampdoria, dove Damato di certo non è stato autore di un arbitraggio consono, più che per quella non andata in scena domenica sera. Quello che preme fare è una costatazione su quanto il calcio ha vissuto un'altra pagina della quale non andare fieri. Atteggiamento forse anche condivisibile, quello dei tifosi (anche se non ai livelli visti: esultare per un gol contro la tua squadra quando porti la sua sciarpa è fuori da ogni immaginazione), non lo è però quello della squadra scesa in campo, a tratti era anche visibile l’imbarazzo nei volti dei giocatori interisti. Tutto forse poteva essere quantomeno limitato dalla Lega, bastava non far giocare Lazio-Inter in notturna ma almeno in contemporanea con Atalanta - Bologna, ma si sa il buon senso non sempre alberga nelle menti di chi comanda.

Cristiano Checchi

lunedì 19 aprile 2010

TRE GIORNI A PIAZZA DEL POPOLO PER CANDIDARE ROMA ALLE OLIMPIADI


Si è conclusa ieri la tre giorni per supportare la candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2020. “Roma città della sport” è stata una manifestazione mix di sport, musica e spettacolo che ha avuto un grandissimo successo con più di 100000 persone che si sono riversate a Piazza del Popolo. L’evento è stato organizzato dalla Uir e dalla Cciaa di Roma. L’obiettivo è di quelli belli ed importanti, la capitale andò vicino all’assegnazione delle Olimpiadi del 2004 quella volta fu però Atene a spuntarla. Roma e l’Italia tutta non ospita un Olimpiade estiva dal 1960, riuscire a succedere al Brasile (che le ospiterà nel 2016) sarebbe importante per tutta la città e per lo sport italiano. La manifestazione ha visto la presenza di volti noti della musica italiana come Noemi, Alessandra Amoroso e Marco Mengoni. Sono stati coinvolti molti bambini. Venerdì pomeriggio sono avvenute le dimostrazioni di 12 discipline olimpiche: pallavolo, judo, karate, tiro a segno, pallacanestro, tennis, atletica leggera, scherma, tennis tavolo, ginnastica, badminton, canottaggio. Il pubblico ha avuto la possibilità di praticare qualche sport olimpico che storicamente gode di meno pubblicità rispetto ad altri più famosi. Inoltre i partecipanti hanno avuto la possibilità di incontrare trenta trai più famosi atleti o ex atleti olimpici. Roberto Di Donna, Giulia Quintavalle, Simone Raineri, Alfredo Rota, Simone Venier, Andrea Minguzzi, Mauro Sarmiento, ed il campione di atletica Andrew Howe. Tra gli ex Nino Benvenuti, Agostino Abbagnale, Klaus Di Biasi, Fabrizio Mori, Andrea Giani, Stefano Tilli, Daniele Masala sono solo alcuni degli sportivi che hanno partecipato per candidare Roma ai giochi del 2020.
C.C

martedì 13 aprile 2010

ROMA CAPOLISTA ORA TOCCA ALL'INTER INSEGUIRE


È la Roma la nuova capolista del campionato italiano di calcio. Quello che fino a un mese fa sembrava solo fantascienza adesso, a cinque giornate dalla fine, è diventato realtà. L’Inter ,distratta dalla Champions e dalla semifinale appena raggiunta, ha perso i 14 punti che aveva di vantaggio sulla Roma ed è riuscita a mantenerne 3 sul Milan, che ha differenza della Roma, ha più volte fallito il sorpasso. A Roma domenica ci sarà il derby, nell’aria della capitale questa partita si sente, si respira in ogni angolo, in ogni bar e in ogni quartiere non si fa altro che immaginare e fantasticare su quei 90 minuti. Il più delle volte nella capitale è più importante questa partita che l’intero campionato. Per la Roma questa volta non può essere così, con questa partita la Roma si gioca il primato, superare indenne l’ostacolo Lazio per la squadra di Ranieri sarebbe troppo importante per la lotta al tiolo. Allo stesso tempo per la Lazio vincere questo derby vorrebbe quasi dire salvare la stagione: salvezza e far perdere il titolo ai cugini. Il derby della capitale non sarà l’unico. Venerdì sera per l’anticipo della 34° giornata andrà in scena il derby d’Italia Inter - Juventus. Il destino rende beffardo questo campionato mettendo le due acerrime rivali sulla strada delle pretendenti allo scudetto. E così, in pieno “calciopoli” bis, Inter e Juventus si affronteranno finalmente sul campo, ai bianconeri la possibilità di far perdere lo scudetto a quelli visti come i responsabili degli scudetti persi a tavolino. Da questi incroci per cuori forti potrebbe approfittarne il Milan. Gli uomini di Leonardo possono cercare di ridurre il distacco dal duo di testa anche se la crisi di risultati si fa sentire. I rossoneri non vincono in casa da oltre un mese, in trasferta le vittorie arrivano a fatica ma questo turno di campionato potrebbe essere l’ultima chance per poter ancora dire la propria in questo pazzo campionato.

Cristiano Checchi