giovedì 2 dicembre 2010

E' DOMINIO BLAUGRANA! GUARDIOLA STRITOLA MOURINHO


Ci sono eventi che non sono solo una partita di calcio, come i più potrebbero pensare. C’è una partita in Spagna che catalizza da sempre l’attenzione di tutto il mondo, non si dice per esaltazione, ma è la semplice verità: Barcellona – Real Madrid del 29 novembre è stata guardata da tutto il globo terrestre. Si affrontavano due mondi diametralmente opposti, due modi di vivere e intendere il calcio agli antipodi, come dice il noto spot Sky si affrontavano “Catalonia o Spagna… Guardiola o Mourinho… Villa o Higuain… Messi o Ronaldo”.


Era questo il senso della partita, la supremazia che una delle due squadre deve avere su l’altra, visto che sulle altre non c’è gioco e tanto meno competizione. Il Barca veniva da un 8 a 0 sull’Almeria, il Real da un 5 a 1 contro l’Athletic Bilbao. Troppa la superiorità sulle altre forze, troppa anche la presunzione da parte dei blancos. Chissà se Ronaldo ripeterebbe più la celebre frase: “vediamo se ne fanno 8 anche a noi”, e chissà se il provocatore per eccellenza (Mourinho) ripeterà più che il Barca ne fa tanti perchè le altre squadre contro Messi e compagni sono arrendevoli.


Xavi, Pedro, due volte Villa e Jefren questi i marcatori di una partita che resterà storica non solo nel campionato spagnolo. L’umiliazione per il Real Madrid è di quelle che difficilmente si scordano, subire la “manita” in Spagna è un umiliazione atroce, non a caso dopo aver visto i giocatori del Barcellona sventolare la mano i giocatori del Real hanno perso letteralmente la testa (a esser sinceri anche un po’ prima del quinto gol). Dopo la spinta di Ronaldo a Guardiola, gli insulti di Carvalho a Messi, la spallata di Arbeloa, a palla rigorosamente lontana, sempre ai danni di Messi, abbiamo assistito anche a un calcio vergognoso di Sergio Ramos, manco a dirlo, a Leo Messi. Un calcio simile a quello di Totti a Balotelli, solo che li ci fu molto più impatto mediatico e molte più chiacchiere, nessuno in Spagna chiederà la “testa” del terzino spagnolo. Non contento Ramos, dopo aver subito l’espulsione, ha completato la sua performance, scadente in tutto e per tutto, con una manata a Puyol e una spinta a Xavi. Insomma la tecnica Mourinho di carica all’esasperazione dell’ambiente questa volta non ha funzionato… la partita d’andata è stata tutta Catalonia, Guardiola, Villa e Messi.


Cristiano Checchi

Ibrahimovic è tornato bionico


“Voi parlate io gioco”. Si può riassumere con la sua frase più famosa e più celebre la personalità di Zlatan Ibrahimovic, quasi due metri di muscoli, quasi 47 di scarpe, quasi impossibile da immaginare elegante e dinamico con la palla al piede. Possiamo partire da quella frase, pronunciata quando era all’Inter, faceva gol ogni domenica e qualcuno lo stuzzicava dicendo che in fondo non era poi tanto difficile fare gol in Italia, quanto molto più lo era farli in Europa dove invece lo svedese stentava. Oppure possiamo partire dal suo modo di esultare: le braccia aperte, la faccia quasi annoiata, l’atteggiamento di chi sembra voler dire: “Ho segnato io, e allora? Tutto normale”. Irriverente ed antipatico. Già, antipatico, ma agli avversari. Perché quando Ibrahimovic è un tuo compagno o il centravanti della tua squadra del cuore ti diventa subito simpatico, anzi di più, inizi a venerarlo, a rimanere incantato dalle sue prodezze che sembrano facili, ma lo sembrano perché è lui e il suo essere fenomeno a renderle facili. Possiamo, al limite, partire da un gol, magari da quello realizzato all’Italia con la maglia della Svezia durante l’Europeo del 2004: un colpo di tacco volante che si va ad infilare all’incrocio dei pali e che poteva essere concepito solo da un pazzo o da un fenomeno, o molto più semplicemente da Ibra. O magari dai gol di Parma del maggio 2008: l’Inter che deve vincere la partita per portarsi a casa lo scudetto e all’intervallo è sullo 0-0, Ibrahimovic siede in panchina, recuperato in extremis dopo un infortunio di due mesi, complice il quale l’Inter ha perso quasi tutto il vantaggio accumulato sulla Roma. Roberto Mancini rischia il tutto per tutto, Ibra entra, in un quarto d’ora fa due gol, Inter campione d’Italia e fine dei giochi.

Da qualsiasi punto si parta, descrivere Ibrahimovic è quanto mai semplice, ma allo stesso tempo affascinante, oggi come ieri. E’ senza ombra di dubbio il calciatore più decisivo del mondo, quando per decisivo si intende non il più forte a livello tecnico (concetto quanto mai soggettivo), ma il più determinante, quello che apre la partita con un gol dopo aver magari sonnecchiato un po’, quello che rincorre gli avversari e fa pressing sfruttando altezza e fisico. Dal 2005 ad oggi Ibrahimovic ha vinto 6 campionati su 6 (2 con la Juve, poi revocati ma non certo per colpa sua, 3 con l’Inter e uno col Barcellona). Quest’anno cerca l’en plein anche con la maglia del Milan (che guarda caso è già in testa alla classifica con 7 reti decisive dello svedese). Forse non sa adattarsi granchè bene ad una squadra che ha già un gioco collaudato (vedi il Barcellona, in cui comunque Ibra ha fatto più di 20 gol stagionali tra cui la doppietta nei quarti di finale di Coppa Campioni in casa dell’Arsenal e il gol nella sfida scudetto col Real Madrid, vinta 1-0 dai blaugrana). Di sicuro al Milan ha trovato posizione e leadership: è lui il fulcro della squadra, è lui l’uomo su cui Allegri punta per portare a casa scudetto e/o coppa. Ibrahimovic non si spaventa, abbassa la testa e fa quello per cui è, pagato: inventare gol e vittorie. Del resto è bionico non per caso. E scusate se è poco.

Marco Milan