“Voi parlate io gioco”. Si può riassumere con la sua frase più famosa e più celebre la personalità di Zlatan Ibrahimovic, quasi due metri di muscoli, quasi 47 di scarpe, quasi impossibile da immaginare elegante e dinamico con la palla al piede. Possiamo partire da quella frase, pronunciata quando era all’Inter, faceva gol ogni domenica e qualcuno lo stuzzicava dicendo che in fondo non era poi tanto difficile fare gol in Italia, quanto molto più lo era farli in Europa dove invece lo svedese stentava. Oppure possiamo partire dal suo modo di esultare: le braccia aperte, la faccia quasi annoiata, l’atteggiamento di chi sembra voler dire: “Ho segnato io, e allora? Tutto normale”. Irriverente ed antipatico. Già, antipatico, ma agli avversari. Perché quando Ibrahimovic è un tuo compagno o il centravanti della tua squadra del cuore ti diventa subito simpatico, anzi di più, inizi a venerarlo, a rimanere incantato dalle sue prodezze che sembrano facili, ma lo sembrano perché è lui e il suo essere fenomeno a renderle facili. Possiamo, al limite, partire da un gol, magari da quello realizzato all’Italia con la maglia della Svezia durante l’Europeo del 2004: un colpo di tacco volante che si va ad infilare all’incrocio dei pali e che poteva essere concepito solo da un pazzo o da un fenomeno, o molto più semplicemente da Ibra. O magari dai gol di Parma del maggio 2008: l’Inter che deve vincere la partita per portarsi a casa lo scudetto e all’intervallo è sullo 0-0, Ibrahimovic siede in panchina, recuperato in extremis dopo un infortunio di due mesi, complice il quale l’Inter ha perso quasi tutto il vantaggio accumulato sulla Roma. Roberto Mancini rischia il tutto per tutto, Ibra entra, in un quarto d’ora fa due gol, Inter campione d’Italia e fine dei giochi.
Da qualsiasi punto si parta, descrivere Ibrahimovic è quanto mai semplice, ma allo stesso tempo affascinante, oggi come ieri. E’ senza ombra di dubbio il calciatore più decisivo del mondo, quando per decisivo si intende non il più forte a livello tecnico (concetto quanto mai soggettivo), ma il più determinante, quello che apre la partita con un gol dopo aver magari sonnecchiato un po’, quello che rincorre gli avversari e fa pressing sfruttando altezza e fisico. Dal 2005 ad oggi Ibrahimovic ha vinto 6 campionati su 6 (2 con la Juve, poi revocati ma non certo per colpa sua, 3 con l’Inter e uno col Barcellona). Quest’anno cerca l’en plein anche con la maglia del Milan (che guarda caso è già in testa alla classifica con 7 reti decisive dello svedese). Forse non sa adattarsi granchè bene ad una squadra che ha già un gioco collaudato (vedi il Barcellona, in cui comunque Ibra ha fatto più di 20 gol stagionali tra cui la doppietta nei quarti di finale di Coppa Campioni in casa dell’Arsenal e il gol nella sfida scudetto col Real Madrid, vinta 1-0 dai blaugrana). Di sicuro al Milan ha trovato posizione e leadership: è lui il fulcro della squadra, è lui l’uomo su cui Allegri punta per portare a casa scudetto e/o coppa. Ibrahimovic non si spaventa, abbassa la testa e fa quello per cui è, pagato: inventare gol e vittorie. Del resto è bionico non per caso. E scusate se è poco.
Marco Milan
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